IL LIBRO DELLA SETTIMANA
Tracce della Nostra Terra
Le fatiche dei miei genitori
Autore: Don Renato D’Amico
Editore: Di Vitto Editore
Anno pubblicazione: 2003
Tipologia: Libri storici
Pagine: 88
Costo: € 9,50
Per info contattare l’autore: donrenato1949@libero.it
Sito web: http://www.divittoeditore.com/
Prefazione al libro:
Può sembrare strano che un sacerdote scriva un libretto sul lavoro dei contadini. Siamo abituati a leggere scritti che i preti dedicano, magari, ad argomenti di carattere religioso: preghiere, meditazioni e vite di santi.
Io credo che lavorare può essere una strada privilegiata verso la perfezione e la santità. Sono convinto che tutti i coltivatori della terra svolgono il loro lavoro non tanto come una condanna (Genesi 3,17-19), ma, piuttosto, come un compito che Dio ha loro affidato e che loro portano a termine sicuramente con indescrivibili sforzi e immensi sacrifici, ma anche con gioia, con entusiasmo, con slancio, con letizia e con soddisfazione.
San Benedetto Abate, milleseicento anni fa, diede ai suoi monaci una regola molto semplice, composta di due imperativi: “Ora et labora”. Per diventare santi, oltre a “pregare”, è necessario “lavorare”. Nei nostri giorni, Mons. Josemaria Escrivà de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei, proclamato santo il 6 ottobre 2002, ha insegnato che è possibile santificarsi “col” lavoro e “nel” lavoro.
D’altronde, il lavoro è indispensabile per il sostentamento proprio e della famiglia. San Paolo ammoniva: “Chi non vuole lavorare, non deve neanche mangiare!” (2° Tessalonicesi 3,10-12). Lavorare è volere di Dio, e fare la volontà di Dio significa diventare santi.
Nell’autunno del 2002, anno dedicato alla montagna, ho maturato la decisione di scrivere il volumetto che avete tra le mani. Il lavoro intrapreso è stato rallentato dalla preoccupazione per un difficile intervento chirurgico che mio padre ha dovuto affrontare alla fine di ottobre, all’età di 87 anni. Grazie a Dio, grazie alle cure dei medici e grazie anche alla premurosa e amorosa assistenza che mamma ed io gli abbiamo fatta, dopo una lunga convalescenza, papà adesso sta meglio e sta riassaporando la gioia di vivere.
E proprio ai miei genitori, Emidio e Michelina, sono dedicati questi appunti. Vogliono essere un segno di amore e di riconoscenza verso di loro che, innanzitutto, mi hanno dato la vita e, poi, mi hanno insegnato la buona educazione, la fede nel Signore, la religiosità, lo spirito di sacrificio, l’amore alla natura, il senso di responsabilità, il valore dei soldi, la bontà, l’ottimismo, la laboriosità, l’onestà, la rettitudine, il rispetto, la solidarietà, il buon cuore e la generosità verso i fratelli.
Inoltre, queste pagine sono e resteranno una testimonianza delle enormi fatiche, spesso eroiche e sovrumane, svolte dai miei genitori e da tutti i contadini del mio piccolo paese. Descrivono la vita da essi vissuta e sono una documentazione, un esempio e un patrimonio da consegnare alle future generazioni.
Ciò che è scritto in questi appunti non è, certamente, “tutto”, ma è solo una “piccola parte”, un breve spaccato della vita quotidiana del contadino.
Infine, quanto è descritto è sicuramente limitato, restrittivo e riduttivo, perché riguarda principalmente la vita contadina di una minuscola località, “Roccacinquemiglia”, e non “tutti” i lavori agricoli, ma alcuni in particolare, come il “ciclo del fieno e del grano” e i “lavori dell’uomo e della donna contadina”.
Sicuramente in tutti gli altri piccoli centri, che costituiscono i “gioielli” del nostro Abruzzo, “forte e gentile”, le cose si svolgevano più o meno allo stesso modo, o con pochissime differenze.
Sono ricordi della mia adolescenza (anni ’50 – ’60) e mi è piaciuto documentarli per tramandarne la memoria.
E’ vero, sull’argomento esistono già numerosissime pubblicazioni e in tanti paesi della nostra bella regione (mi piace ricordare Ateleta, Scanno…) sono stati allestiti interessanti “Musei della civiltà contadina”. Ma, forse, i giovani faranno sempre fatica ad immaginare che cosa sia, per esempio, l’aratro, il giogo, la “caja”, lo scaldaletto o qualsiasi altro oggetto nominato in queste pagine ed ora scomparso.
Sono, in conclusione, cose che io ho visto e vissuto nella mia giovinezza. Anche da seminarista, durante le vacanze estive, toglievo l’abito talare e andavo in campagna ad aiutare, per quello che potevo, i miei genitori nei loro lavori giornalieri.
Per me è un vanto essere figlio di contadini e sono orgoglioso di avere umili origini. Oltre che gli studi di teologia e l’intensa vita spirituale del Seminario (Scuole Medie, 1960-63, nel Seminario Regionale di Chieti), posso affermare che anche il contatto con la natura e la fatica del lavoro nei campi hanno avvicinato la mia anima a Dio.
don Renato D’Amico