ROCCARASO – Dalla brillante penna di Ugo Del Castello ci piace proporvi questa bella pagina di storia paesana dei favolosi anni sessanta. Ancora una volta il “capriccioso” scrittore roccolano: da una parte severo supercritico scomodo, “rompi(B)alle”, il quale non risparmia nulla e nessuno – dall’altra, l’anima nobile e sensibile in grado di far vibrare le coscienze più temprate che a fatica non riescono a cedere alla tentazione della lacrima, quando parla dei ricordi dell’infanzia. Quegli anni sessanta vissuti con gli occhi dell’innocenza e le atmosfere irripetibili di quell’epoca. La Roccaraso dei valori, dell’amicizia e dell’orgoglio dell’appartenenza.
E spiando sul suo sito www.lamiaroccaraso.it la tentazione di “rubargli” questa bella testimonianza di vita vissuta è stata più forte di noi. Ci denuncerà per i diritti d’autore? Dall’imprevedibile Ugo c’è da aspettarselo. In ogni caso Ecodelsangro continuerà a volergli bene, nel convincimento che “se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo”. E quindi, ce lo godiamo con i pochissimi pregi e tutti i suoi difetti: in primis quello di chiamarsi “U.D.C.” del quale lui è particolarmente orgoglioso per motivi politici. Siamo certi che anche ai suoi avversari non dispiacerà leggere questa pagina, scritta con la mano di chi sa, che senza un passato non si costruisce un buon buon futuro.
E allora ve lo proponiamo in versione amarcord.
“Ogni anno, quando si avvicina questa data, mi torna davanti agli occhi l’immagine nitida e viva di un tardo pomeriggio d’inverno dei primi anni ’60, quando una bufera di neve impedì alle donne di Roccaraso di raggiungere la chiesa Madre per ascoltare la Santa Messa. Mentre io ed alcuni ragazzi, intrepidi, avevamo sfidato con successo la neve, giunta vorticosa fin dentro il nostro naso arrosssato dal gelo, per servire la cerimonia. Don Edmondo de Panfilis, il nostro parroco, un po’ deluso dall’imprevista situazione cambiò subito umore e ci condusse nel suo appartamento. Dalla credenza della cucina tirò fuori un profumato pacchetto di biscotti e preparò un confortante the caldo. Stimolati dal freddo e dall’ora vespertina in un batter d’occhio divorammo i biscotti e la calda bevanda che ci riscaldò definitivamente.
Ma non finì così. Monsignore si avvicinò ad una fila di dischi ordinati alfabeticamente per autore, tirò fuori uno di essi da una custodia con impressa l’immagine di Napoleone Bonaparte e l’altisonante scritta: Sinfonia n. 3, op. 55 “Eroica”, di Ludwig van Beethoven. Poggiò il vinile sul piatto di gomma e con delicatezza spinse il braccetto appuntito per dare il via all’ascolto. Quasi avessimo inteso il suo volere ci sedemmo intorno al tavolo e con sommo silenzio incominciammo ad ascoltare quella musica che ben presto ci spinse a guardarci negli occhi con l’intesa velata di dire all’unisono: questo è matto.
Tutto accadde in pochi secondi e fummo rapiti dalle sue parole che incominciarono a dare corpo a quella musica e a rivelarci un mondo sconosciuto a noi che non eravamo arrivati alla terza elementare: Beethoven; Vienna e il sobborgo di Heiligenstadt; la Sinfonia n. 3 detta l’Eroica, prima dedicata alle imprese di Napoleone Bonaparte, poi l’incontenibile rabbia del musicista che lo indusse a cancellare la dedica all’<<eroe>> quando si autoincoronò imperatore.
Ecco, questo era Don Edmondo De Panfilis, questo è stato il parroco di Roccaraso, l’amico incommensurabile dei bambini, dei ragazzi, dei giovani. Un feeling tangibile che portava la quasi totalità della nostra gioventù a raggiungere piazza XX Settembre per giocare a pallone sul porfido o a palle di neve l’inverno prima di entrare in chiesa e indossare i panni di chierichetto. E poi a entrare nella biblioteca della Casa canonica per leggere un libro o consultare l’enciclopedia o guardare la Tivvù dei ragazzi, quasi una rarità nelle nostre case o aiutarlo a mettere a posto l’ufficio parrocchiale. E poi ancora ricevere in dono una maglietta e pantaloncino da calciatore per la squadra di calcio o un paio di sci lasciati dallo sponsor di una manifestazione sciistica per ragazzi in dotazione allo sci club, di cui il parroco era presidente all’epoca.
La sua opera religiosa e di inserimento nella vita civile della comunità era ricca e rendeva la nostra vita partecipe in maniera totale: casa, scuola e chiesa. Come non ricordare le gite a Capri, a Roma. La partecipazione dei più grandi alle gare di atletica a loro riservate tra le manifestazione del Giubileo del 1950. E poi le cosiddette gare tra i chierichetti delle varie parrocchie nella Cattedrale di San Panfilo a Sulmona. Era il 25 di aprile di un anno che non ricordo e una tardiva e copiosa nevicata quasi ci impedì di raggiungere quella città. Don Edmondo ci aveva comprato le tonache nuove di zecca, sbaragliammo gli avversari e arrivammo primi. Nonostante la “vittoria” ci rimproverò e ad ognuno di noi affibbiò una manchevolezza, noi non capimmo e solo un piatto di pasta asciutta ci rincuorò dimenticando il sermone. Solo nel corso degli anni compresi, affiancando quel rimprovero a quelli che spesso mi comminava anche mia madre, che nella vita, nonostante certi avvenimenti possano esaltare il nostro spirito, dobbiamo restare umili.
La sua opera pastorale era supportata in maniera preziosa ed amorevole dalle suore delle Poverelle che completavano il suo insegnamento avvicinandoci al Catechismo e a fare teatro. Sì, molti di noi alla scuola materna vestivano i panni dei teatranti per rappresentare storie insegnate con maestrìa, a Natale e a santo Edmondo, il 16 novembre. Lui era sempre presente e alla fine un tocco di mano sulla nostra testa era il più bel dono che potesse darci. Più di una volta era accompagnato dal presidente della camera Giovanni Leone che aveva una villa a Roccaraso e noi così piccoli ci rendevamo conto di aver partecipato ad un avvenimento importante per quella età.
Qualche anno fa, quando lui era morto da tempo, il racconto di Agostino De Zordo, un saltatore con gli sci, mi ha riportato a quegli anni e mi sono commosso. Racconta Agostino che nel 1959 la nazionale italiana di salto fu ospite a Roccaraso per un periodo di allenamento e l’avvenimento fu favorito non solo dall’ottima ospitalità assicurata dal paese nel corso delle competizioni che si erano fino allora succedute e per la validità dell’impianto sportivo, ma anche per l’abilità di coinvolgimento delle istituzioni sportive nazionali da parte del giovane parroco roccolano.
Don Edmondo, presidente dello sci club, soddisfatto e non dimenticando il suo pricipale compito, invitò la rappresentativa nazionale alla messa della domenica delle nove e mezza, prima che gli atleti si recassero alla gara finale. All’omelia li volle salutare e ringraziare unitamente agli accompagnatori, ma un attimo di emozione soffocò le sue parole e alcune lacrime scesero sul suo volto. Dovette fermarsi per asciugare gli occhi e mentre compiva quel gesto gli atleti compresero il suo stato d’animo, si alzarono e batterono le mani per affermare definitivamente tutte le sue capacità organizzative. Dopo qualche tempo la Fisi conferì a Don Edmondo De Panfilis la Stella d’oro al merito sportivo.
Verso la metà degli anni ’70 Don Edmondo fu chiamato a far parte della Conferenza episcopale italiana e ricoprì l’incarico di responsabile della pastorale per il turismo. I giovani della mia generazione compresero che quell’incarico lo avrebbe allontanato dalla nostra vita e avremmo perso il suo prezioso insegnamento. Infatti nel giro di qualche anno si stabilì a Roma e ricevette altri due incarichi altrettanto prestigiosi; divenne canonico del Pantheon e cappellano della squadra olimpica. Incarico questo che lo avvicinò particolarmente al velocista Pietro Mennea, diventandone il suo consigliere spirituale.
Io lo ricordo con affetto e riconoscenza e credo di interpretare anche i sentimenti di tutti coloro che gli furono accanto, come me educati con sani principi di vita”.
fonte: www.lamiaroccaraso.it