CASTELNUOVO AL VOLTURNO – L’uomo Cervo, la maschera zoomorfa dell’area pentra, la tradizione che non muore mai, ritorna di scena l’ultima domenica di carnevale.
Motore della macchina organizzativa Ernest Carracillo, apprezzato musicista che oltre a curare l’aspetto coreografico della pantomima che si svolge nella piazza del paese si occupa di musicare con l’ausilio di eccellenti strumentisti di zampogne la leggenda carnevalesca che all’imbrunire vuole scendere dalla montagna il cervo e la cerva, animati da una malvagità unica, fino a concludersi con la rinascita spirituale dei due animali che tornano a nuova vita con l’avvicinarsi della primavera.
Quest’anno coloreranno il palcoscenico i Mamutzones di Samugheo.
Chi sono?
Le maschere di Samugheo si inseriscono nel ricchissimo ed originale repertorio carnevalesco delle zone interne della Sardegna, dove il culto della tradizione è ancora vivissimo.
Sono quelle che conservano maggiormente le caratteristiche da cui traggono origine. Anche se il loro significato primitivo si è in parte perduto, esse rappresentano un tempo la passione e la morte di Dionisio, dio della vegetazione, le cui feste si celebravano in quasi tutte le antiche società agrarie. Dionisio, il dio che ogni anno moriva e rinasceva, come la vegetazione, è rappresentato dalla maschera zoomorfa de “S’Urtzu”, che indossa una intera pelle di capro, con la testa attaccata.
Il capro era infatti la forma più frequente nella quale il dio si manifestava. La rappresentazione della sua passione, che in tempi lontani era una cerimonia sacra, in periodo cristiano venne banalizzata e declassata a semplice maschera carnevalesca.
In questa forma è giunta fino al nostro secolo. “S’Urtzu”, tenuto per la vita da Su Omadore, il suo guardiano, ogni tanto cade a terra fingendo la passione che precede la sua morte. Le maschere dei “Mamutzones” rappresentavano invece i seguaci di Dionisio.
Si vestono di pelli e nascondono il volto con un copricapo di sughero munito di autentiche corna caprine o bovine, cercano di raggiungere l’estasi dionisiaca e lasciandosi possedere dal dio per rendersi simili a lui. Ogni tanto circondano “S’Urtzu” e gli danzano intorno. Un tempo tutti i mamutzones portavano con sé un bastone avvolto di pervinca o di edera, a somiglianza del Tirso.
Essendo tale strumento alquanto ingombrante, oggi viene portato solo da qualche maschera e da colui che conduce il gruppo. I sonagli hanno significato apotropaico, vogliono cioè, col loro suono tenere lontani dalla cerimonia gli spiriti del male.
Tutto questo sarà vissuto domenica prossima in Molise. Motivo ulteriore per non perdere questo straordinario appuntamento, arricchito dalla suggestiva presenza dei Mamutzones che anche stavolta non finiranno di stupire la folla che accorre da ogni dove per vivere indimenticabili momenti di teatralità.